e altre frasi che non dovrebbero mai essere pronunciate

“Hai un ottimo curriculum, fantastico che tu sia dislessica così puoi capire meglio i nostri ragazzi, ma ti dovrò affiancare un tutor non dislessico che la grammatica la sa.”
Avevo circa 20 anni la prima volta che ho sentito parlare della dislessia come una cosa negativa e che comportava delle limitazioni, e proveniva dalla bocca e dalla mente di una persona che si occupava di doposcuola per DSA. Era primavera e avevo deciso di iniziare a fare un po’ di gavetta cercando un lavoro pomeridiano, nel tentativo di arrivare al giorno della laurea con già qualche esperienza nel mio curriculum, perciò risposi ad un annuncio che cercava tutor DSA e mi presentai al colloquio.
Avevo già un bel curriculum, avevo iniziato da parecchi anni a fare ripetizioni, organizzare feste di compleanno per bambini, avevo lavorato come cameriera, baby sitter, donna delle pulizie e in una libreria. Avevo un buon voto di diploma e un’ottima media dei voti universitari, mi sentivo molto sicura di me. Quando l’esaminatrice mi chiese cosa mi motivasse, io risposi senza indugio che era la mia esperienza di bambina dislessica a spronarmi, mi piaceva l’idea che avrei evitato ad altri bambini nella mia situazione di dover aspettare le scuole medie o superiori, per sentirsi realizzati. Ovviamente a patto di trovare docenti in grado di farlo… (vedere l’articolo “Come le poesie e il teatro mi hanno salvato a scuola”)
Ricevuta la notizia della mia dislessia, l’esaminatrice si dimostra entusiasta, le piace l’idea di poter mostrare ai ragazzi DSA che anche il tutor che li segue lo è, e frequenta addirittura l’università, cosa che a me non sembrava per nulla eccezionale, ma sembra essere fattore di stupore per lei. Aggiunge però che mi dovrà affiancare a un tutor non dislessico che la grammatica la sa. In quel momento mi sono sentita profondamente umiliata. Avevo sempre portato la mia dislessia come un fattore di orgoglio, qualche cosa che mi distingueva dalla massa e che mi rendeva migliore di chiunque altro, a patto di capirla e imparare a gestirla compensandola a dovere. Improvvisamente Quando era diventato qualche cosa di limitante, che mi impediva di fare qualche cosa? Quando era successo? Accettai ovviamente con il sorriso, volevo quel lavoro. Quell’esperienza mi ha portato dove sono oggi e guida il mio lavoro tuttora. Faccio esattamente il contrario di tutto quello che mi hanno insegnato e combatto strenuamente per abbattere quella mentalità. Porto avanti il mio Dyslexic Pride personale.
“Un dislessico questo non potrà mai farlo.”
Prima di poter lavorare nel fantomatico doposcuola per DSA bisognava fare un corso per imparare il metodo di lavoro, strumenti compensativi e dispensativi, e altre cose che avrei preferito non sentire mai.
Più il formatore parlava più mi vergognavo di essere dislessica, per la prima volta provavo imbarazzo a dirlo ai compagni di corso, a espormi e parlare. Facevano un lunghissimo elenco di cose che un dislessico non riusciva a fare: non fategli suonare il flauto dolce perché è troppo difficile, fatelo suonare con i tasti del computer, leggete sempre per lui, usate parole semplici per parlargli perché non hanno un grande vocabolario visto che non leggono e non capirebbero…
(Vi scongiuro, non semplificate mai il vostro eloquio quando parlate con un dislessico, piuttosto affiancate parole a bassa frequenza con il corrispettivo più comune. Se parlate a una persona come se questa fosse scema, se ne convincerà anche lei e anche se fosse vero che ha un vocabolario più limitato rispetto al coetaneo, di certo non lo aiuterete a migliorare, facendo così) TOGLIERE LE PARENTESI?
Cominciavo a credere alle parole dell’insegnante, nonostante la mia elevata autostima, restavo una ragazza di vent’anni che ascoltava qualcuno con molta più esperienza di lei e molte più conoscenze. A tutti i dislessici in ascolto, vi prego non fatevi mai influenzare dalle parole di qualche professionista che cerca di sminuire le vostre competenze, adducendo la vostra dislessia come fattore limitante, sono tutte caz…
Ma torniamo a noi.
Ad un certo punto non resisto più, alle frase “un dislessico non riuscirà mai a fare un logaritmo” alzo la mano e faccio coming out. Dico che sono dislessica e discalculica, che i logaritmi li ho sempre fatti tranquillamente, che in matematica al quinto anno di superiori avevo 10 in pagella, che facevo ripetizioni a tutti i miei compagni, il formatore mi risponde irritato che io forse avevo un’intelligenza molto alta che compensava la dislessia ed era per quello, ma tutti gli altri non ci riuscivano. Ho taciuto. Conosco il mio Q.I. te lo dicono in fase di diagnosi, non è il quoziente di un genio, ma di una persona normale. Questo corso l’ho cancellato dal mio curriculum. Ho frequentato altri seminari/incontri di questo tipo e tutte le volte l’atmosfera era la stessa. Ho deciso che se avessi voluto lavorare con i ragazzi DSA mi sarei dovuta formare in un altro modo, che se avessi voluto essere un aiuto concreto, dovevo trovare una strada lontana da quello che tutt’oggi viene veicolato comunemente. Quella strada l’ho trovata con l’analisi comportamentale, ma questa è un’altra storia.
“Non sembra che tu sia dislessica.”
Riesco ad essere assunta al doposcuola, e inizio a lavorarci, affiancata al tutor “non dislessico” che a quanto pare doveva vigilare e correggere il mio operato. Nulla conta il fatto che lui non solo non fosse laureato, ma neanche iscritto a un corso di laurea, mentre io nel marzo dello stesso anno avevo conseguito una laurea con lode, con una tesi che aveva ricevuto i complimenti della commissione. Un giorno, dopo diversi mesi che ci lavoravo, mentre scrivo una frase alla lavagna commetto un errore di grammatica, lo correggo e dico ai ragazzi che un errore non cambia nulla, anzi scommetto che nessuno ha pensato che fossi meno brava, meno intelligente o dislessica, solo perché avevo dimenticato una z. A questo punto il mio tutor in affiancamento si volta verso di me e dice “ma tu sei dislessica? No, è impossibile, sei così brava! Non lo sembri proprio”. Non è nemmeno il caso di commentare questa frase, lo fa da se…
“Non puoi essere dislessica, hai voti più alti dei miei.”
All’università molte mie colleghe facevano un lavoro simile al mio al doposcuola, con gruppi o singoli bambini dislessici. Ad un esame universitario una di queste mie colleghe vede il mio libretto, all’epoca li avevamo cartacei. Cominciamo a parlare dei singoli esami, e mentre ci confrontiamo salta fuori l’argomento dislessia, le dico che anche io lo sono, lei mi guarda e arriccia il labbro, mi dice che non è possibile perché ho voti molto più alti dei suoi. Rimango basita, lei mi chiede quali strumenti l’università mi fornisce e le rispondo che la diagnosi mi è stata fatta alle medie e visto che la legge 170 ancora non c’era, che nessuno conosceva la dislessia e che io non avevo grossi problemi scolastici lo psicologo sconsigliò a mia madre di presentarla a scuola il documento e quindi non ho mai usufruito dei miei diritti e sinceramente non avevo voglia e soldi per rifare la certificazione ora, anche perché come poteva notare lei stessa non c’era tutta questa necessità. Credo che abbia continuato a pensare che mentissi sulla mia dislessia. Mi chiedo come puoi essere un valido supporto per un ragazzino DSA se non lo reputi in grado di raggiungere alti livelli scolastici con i tuoi insegnamenti e il tuo supporto.
Avevo vent’anni la prima volta che ho sentito parlare della dislessia come una cosa negativa, ed è stato in mezzo a persone che se ne occupavano, che avevano l’obiettivo di sostenere i ragazzi in difficoltà. Se un tutor o un doposcuola fa sentire tuo figlio in difetto, se non ci va volentieri, se non esce con il sorriso e con l’autostima che gli esce dai pori, non è il posto giusto per lui. Se dopo aver parlato con il suo tutor non porta la bandiera del Dyslexic Pride con fierezza, probabilmente quel tutor non è in grado di trasmettergli la motivazione e l’autostima necessaria. Credo che il miglior modo di spiegare e insegnare le cose a un DSA sia il miglior modo di spiegarlo a tutti, credo che le miglior tecniche per far fare i compiti con facilità ai ragazzi DSA, sia il miglior modo per farlo con tutti gli altri, perciò non credo che servano doposcuola per dislessici, tutor per dislessici, corsi per dislessici ecc… credo ci sia la necessità di bravi educatori e di ottimi doposcuola che sappiano spronare, motivare e insegnare. Credo che la spinta alla ghettizzazione sia sempre fonte di discriminazione e impoverimento intellettuale per tutti.

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